Il cattivo esempio dei cugini d’Oltralpe
In cerca di consenso facile, Sarkozy applica Il modello italiano contro
i migranti rom.
Editoriale di Nando Sigona*
Questa volta è il turno della Francia. Dopo il crollo di consenso nelle
elezioni regionali, la faida interna con l’ex-primo ministro de Villepin
che prepara una scissione, e una serie di scandali più o meno seri –
inclusa una scenata di gelosia sul set di Woody Allen – il presidente
Sarkozy corre ai ripari. Qualche anno fa, nel 2005, furono le auto
bruciate nelle banlieue di Parigi, Lione, Marsiglia a fornire all’allora
astro nascente della politica francese e ministro dell’Interno
l’occasione per inscenare lo spettacolo del ‘law and order’. È tempo di
un remake, ma questa volta sono i rom a fornire la materia prima e
l’Italia di Berlusconi e della Lega a metterci il canovaccio. E allora
assistiamo di nuovo a rimpatri di massa, ai blitz dei poliziotti mandati
nei campi rom alle cinque di mattina a spargere terrore tra donne,
uomini e bambini insonnoliti, alle ruspe che li accompagnano e
distruggono baracche di fortuna e con esse ricordi di famiglia, foto,
pupazzi di pezza e giocattoli.
Tutte cose che abbiamo già visto nel passato recente e lontano, ma
questo non diminuisce il disgusto e il senso di profondo orrore per una
politica che cerca capri espiatori nei più deboli, in quelli che hanno
meno risorse per difendersi.
Il fatto che tra i rom ci siano anche alcuni che commettono reati, non
mancherà qualche criminologo a ricordarcelo, non rende queste misure che
colpiscono i rom tutti indistintamente in quanto gruppo etnico meno
violente e oltraggiose. E se proprio si vuole parlare di crimini e
reati, di giustizia, moralità e sicurezza, non si può che constatare
l’assurdità e l’assenza di senso del ridicolo di politici corrotti e
corruttori, inquisiti per reati gravi e a volte gravissimi che fanno la
morale e si accaniscono contro delle persone che per sopravvivere
talvolta rubicchiano una borsa, una pecora, dei pezzi di metallo,
qualche volta un appartamento.
Il senso di oltraggio per queste misure è diffuso, a macchia di
leopardo, in tutta Europa e oltre, ma con qualche assenza di rilievo.
Mancano, come era già accaduto nel 2008 in Italia, le voci dei partiti
socialdemocratici, di quelli che per calcolo elettorale non possono
abbandonare le parole d’ordine della sicurezza, e che dovrebbero invece
affrontare in maniera ben più complessa la questione dei pregiudizi
razziali e la lotta alle discriminazioni. Mancano, o sono comunque
appena udibili, le parole dei politici romeni e bulgari sempre un po’ a
disagio a dover prendere le difese dei rom e preoccupati piuttosto da
eventuali ritorni di massa. E manca la voce della Commissione Europea in
forte difficoltà a criticare uno degli assi portanti dell’Unione Europea.
Ora aspettiamo con preoccupazione i risultati del vertice dei ministri
dell’Interno dell’Unione Europea convocato dalla Francia. Maroni e il
governo italiano non hanno mancato di esprimere soddisfazione per aver
fornito al cugino francese un modello di intervento da seguire. Il
rischio a questo punto è che il modello italiano di gestione dei
migranti rom, con l’avvallo della Francia e di qualche altro governo in
cerca di facile consenso, da eccezione diventi invece la norma. E che la
ripetizione, il lento lavorio, i graduali slittamenti della soglia
dell’accettabile e del tollerabile finiscano col produrre assuefazione e
rendere normali le misure di esclusione razziale verso le comunità rom.
*Refugee Studies Centre, Università di Oxford (www.rsc.ox.ac.uk) &
OsservAzione (www.osservazione.org)
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