sabato 10 agosto 2013

Post indigesto

  • Tutto comincia da una frase innocente, che sento ripetere spesso da amici e conoscenti di origine rom: "Non siamo tutti uguali."
  • Secondo flash: "Non demordiamo ma i tempi sono cupi e purtroppo gli stessi Rom non si rendono conto che l'unica vera grande ricchezza è la nostra cultura e se muore non avremo nulla da rivendicare. Tutti si dedicano al sociale e nessuno all'arte e ad elevare e promuovere la cultura." scrive Santino Spinelli.
E perché tutti si dedicano al sociale? Forse, perché c'è una situazione che perdura da decenni, e l'età media di un rom difficilmente arriva ai 60, e c'è chi muore per i morsi dei topi, chi per un incendio (accidentale o no), chi per inedia. Insomma, la situazione di questa minoranza (in tutto il continente) è di una vera e propria crisi sociale. Prima che dire se sia giusto o sbagliato, è quantomeno LOGICO e CONSEGUENTE che la cosa possa e debba preoccupare, a volta in modo giusto a volte in modo sbagliato.
  1. Alla stessa maniera, sospetto che esistano modi giusti e modi sbagliati di occuparsi di CULTURA, partendo dalla considerazione che i due termini (SOCIALE e CULTURA) non siano disgiunti, ma almeno a livello teorico vadano tenuti assieme, se non altro per provare a risolvere la situazione attuale di isolamento e discriminazione (culturale e sociale) di tutti i romanì.
  2. Il secondo nodo è quel "Non siamo tutti uguali", che non è solo un giudizio morale. Una comune origine etnica in un'Europa così sfaccettata socialmente, non può essere il viatico per unire assieme l'artista ricco e/o famoso e chi sopravvive a stento e mai è andato a scuola.
C'è un terzo punto e riguarda chi non è e non sarà mai rom o sinto, ma che come loro è destinato ad interagirvi: che immagine si può avere di questo popolo, quali i suoi aspetti da evidenziare?
Ho raccolto in ebook le testimonianze di giovani rom di tutta Europa, e notavo che da un decennio circa sta emergendo anche tra loro il nucleo di una futura borghesia, cioè di quella classe media che in passato ha accompagnato lo sviluppo dei nostri popoli in Occidente. Con tutte le ambiguità e imprecisioni nel definire come "borghesia" questo nucleo nascente, e la confusione aumenta in quanto non è tuttora possibile definire dove finisca il concetto di "borghesia" come classe produttiva ed intellettuale, e dove inizi il concetto di (sempre ipotetica) "classe dirigente".
"Classe dirigente" è un termine che adopero in quanto passare da LUMPENPROLETARIAT a CLASSE INTEGRATA provoca sempre e in chiunque cambiamenti di visione e di appetiti. Insomma: ci sono aspetti positivi in questo cambiamento, altri più complicati.
Spiego meglio quel "classe integrata": se, come avviene quasi sempre, l'integrazione passa per lo stomaco pieno - prima che da qualsiasi altra ragione identitaria, potremmo ragionare sulla storia nostra: a partire dal rivoluzioni di fine secolo XVIII - inizio secolo XIX, la borghesia in tutto l'Occidente emarginò l'aristocrazia e assunse nei singoli stati nazionali un ruolo dirigente, in senso politico, economico e culturale.
Ma il confronto non riguardò esclusivamente borghesia e aristocrazia: c'erano (ci sono tuttora) le plebi e il proletariato. La borghesia si ritagliò il proprio ruolo dirigente, facendosi forza della situazione di privazione estrema (culturale, economica, politica) di queste due classi, ed usandole come massa di sfondamento, suonando la ritirata quando le loro rivendicazioni superavano la soglia del conflitto e dell'interesse borghese, e tradendo spesso e volentieri le promesse iniziali. Il tutto, ovviamente, riassunto in maniera molto sintetica.
Da questo rapporto di forza, discende anche la questione di chi rappresenta chi. Cioè, chi scrive di proletariato, i loro rappresentanti nei parlamenti, ecc. quasi mai appartengono a quella classe, lo stesso vale per chi fa loro scuola, per chi realizza i programmi televisivi o le riviste destinate a loro.
Succede così, è abbastanza ovvio, che chi si auto-proclama rappresentante di quell'umanità negletta che sono rom e sinti, abbia fatto una scelta per censo più che etnica. Ha bisogno, come ne ha bisogno il terzo settore - come ne ha bisogno la politica - come ne ha bisogno l'università, di una fetta negletta di umanità, per avere uno scalino ulteriore nella sua personale scalata, artistica, economica, culturale.
  • Ma puntualmente, se gli si chiede (noi gagé siamo ignoranti, purtroppo), un parere, un contributo anche personale (perché anche noi gagé non ce la facciamo più), ecco che mi sento dire: il problema è un altro (il problema è sempre un altro, gliel'abbiamo insegnato noi gagé), quella è gente ignorante. IGNORANTE, parola chiave, come una cartina al tornasole, che mi restituisce la dimensione di un nascente conflitto di classe, in una società che le classi come le intendiamo noi non le aveva ancora conosciute.
  • L'altro aspetto di questo conflitto in nuce, è che se vado a parlare con gli IGNORANTI, mi diranno con pochi giri di frase: "Se non vivi la nostra realtà, non puoi capire. Quella gente (gli ISTRUITI, ndr.) non ci rappresenta."
E allora, chi rappresenterà questa gente, cioè LA PIETRA DELLO SCANDALO? Chi può farlo lontano da grezzi interessi?
Non ho risposta, perché il problema è tuttora irrisolto anche per la NOSTRA di società.
L'unico suggerimento che mi sento di dare, è capire quanto può essere grande e comprensivo il concetto iniziale CULTURA. Se si fosse in grado di capire che anche il ghetto, anche la deprivazione, producono cultura e la fanno circolare, il confronto potrebbe continuare.
E poi non dite che non vado a cercarmele!

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