sabato 25 febbraio 2012

Il laboratorio veneto

immagine da lussuosissimo.com

La recente vicenda della commessa che a Vicenza ha esposto un cartello per vietare l'ingresso "AI ZINGARI" ha sollevato diverse e comprensibili reazioni. Come succede spesso, il rischio è che in una settimana il silenzio subentri al clamore; sottopongo allora ai pazienti lettori alcune riflessioni da riprendere col tempo.

Un primo punto riguarda la fruizione della notizia: CLAMORE IMMEDIATO e SUCCESSIVO SILENZIO. La parola ZINGARI su quel manifesto (un giornalista, un politico, uno studioso avrebbero adoperato il politically correct ROM E SINTI) continua a riportarci indietro negli anni, nonostante da lungo tempo si vada ripetendo quanto quel termine sia offensivo. E' la dimostrazione che si continua a giocare "in difesa".

Ma, mi chiedo, è vero razzismo usare la parola ZINGARI? L'ultima frase dell'articolo di TMnews riassume bene il concetto:

    La ragazza parla di ingiustizie, lei paga il biglietto sull'autobus e gli zingari no. "Non sono razzista - rincara - ma le regole devono valere per tutti". Insomma i suoi colleghi negozianti non mettono cartelli ma non fanno entrare gli zingari.

...molto simili, questi negozianti, a giornalisti, politici, studiosi, che usano il termine "Rom e Sinti", ma magari hanno il terrore di un contatto fisico con qualcuno di loro.

La commessa: io penso che razzista sia stata la scritta, non chi l'ha vergata, e sicuramente lei non si percepisce tale. Racconta di sé su La nuova Venezia:

    «Entrano e scappano con la roba. Io do quello che posso a chi chiede aiuto. Ecco, qui ho una bottiglia di shampo difettata, la do a chi me la chiede, do anche lo yogurt della mia colazione. Ma tutti vogliono soldi, non aiuto. L'altro giorno sono stata aggredita da un uomo di colore. Gli zingari non fanno del male, ma entrano in tanti, con i bambini si riempiono le tasche di roba ed escono dalla porta senza pagare. Io li rincorro. Ho chiamato la polizia quando sono stata aggredita, ma se non hai un avvocato e i soldi non serve a niente».

Ragionamenti che appartengono probabilmente alla gran massa del resto della popolazione, che più che il problema del razzismo o degli zingari, si pone quello dell'arrivare a fine mese.

Questa ragazza, che ha messo la questione sul tappeto con molta più chiarezza di qualsiasi sociologo, suscita scandalo perché giovane e soprattutto perché è di origini marocchine e (come si scrive oggi) immigrata di seconda generazione. Questo particolare diventa anzi la chiave di lettura dell'articolo diTuttogratis.

Per questo invitavo a riflessioni più approfondite e meno scandalizzate. Parto da una provocazione:

Se tu lettore fossi un immigrato, un rom, un sinto... cosa diresti se qualsiasi italiano ti spiegasse che sì, la piena integrazione è un tuo diritto, ma a differenza degli italiani non hai diritto a lamentarti se qualcuno ti ruba qualcosa? AUMENTANDO LA PROVOCAZIONE: se io ho gli stessi diritti (e doveri) di un italiano, perché non mi riconoscete il diritto di essere razzista quanto e più di voi?

Gian Antonio Stella, quando scrisse L'Orda, svolse un lavoro egregio di ricostruzione della memoria di un Italia passata dall'essere vittima di razzismo a paese che si mostra sempre più razzista. Sul Corriere della Sera è tornato sul concetto dei penultimi che per salire mettono i piedi in testa agli ultimi.

Il razzismo è una malattia che si può curare, ma non sono sicuro che esista un vaccino efficace ed universale. E' successo agli italiani, succede oggi agli immigrati ed alle seconde generazioni. Se gli zingari (pardon: i Rom e i Sinti) ne sono tuttora immuni, è perché (indipendentemente dai progressi socio-economico-politici di alcuni dei loro settori), rimangono gli ULTIMI nella percezione popolare.

Hanno allora tutte le ragioni ad argomentare contro il razzismo che subiscono quotidianamente (e quello della commessa vicentina è forse meno doloroso di altri), ma ATTENZIONE che se anche per loro arrivasse... non dico tanto, ma almeno il riconoscimento di essere persone come tutti... credo sconsolatamente che cercherebbero a loro volta un PARIA con cui pigliarsela.

Ad esempio: da almeno due decenni assisto a situazioni dove Rom e Sinti italiani incolpano della loro situazione i Rom stranieri, e Rom slavi di lungo insediamento che se la prendono con l'arrivo di Rom bulgari e rumeni... SONO ATTEGGIAMENTI RAZZISTI? Apparentemente sì, anche perché espressi con più rabbia di un italiano, che non si sente personalmente minacciato da questa "concorrenza tra poveri".

Eppure, ricordo tanti anni fa, i Rom che conoscevo allora vedevano di mal occhio l'arrivo dei primi immigrati dal Nord Africa: pubblicamente contro di loro ne dicevano di tutti i colori, ma quando questi immigrati avevano necessità di un piatto di minestra, di una roulotte dove ripararsi, dove pensate che andavano a chiedere? Proprio da quei Rom che di loro parlavano male, ma che lontano da occhi indiscreti riscoprivano la loro antica solidarietà. Come noterete, non è un atteggiamento molto distante dalla nostra commessa di Vicenza.

    Però, dopo tutto questo scrivere di razzismo, devo deludere i miei lettori, non è di quello che mi premeva ragionare, non adesso, perlomeno. Il razzismo ha diversissime maniere di manifestarsi, soprattutto perché dietro quel concetto si mascherano spesso problemi più pratici.

Ragionando sulla commessa (di seconda generazione, ricordiamocelo), e rileggendo l'articolo di Stella che ho menzionato prima, è da inquadrare l'ambiente in cui si sviluppa la vicenda: il Veneto già terra di immigrazione e poi roccaforte leghista. Con tutte le contraddizioni che si porta dietro: quelle di un territorio molto più curato e protetto rispetto a tante altre regioni italiane, ma anche patria (assieme alla Brianza) del fenomeno dei capannoni con fabbrichetta abbinata o del consumo di suolo.

Se ad esempio a Treviso (dove è ancora l'ex sindaco Gentilini a dettare la linea politica) l'ideologia leghista ha raggiunto parossismi tra l'avanspettacolo ed il codice penale, la sua provincia è quella che percentualmente ha attirato più immigrati. Sembrerebbe un paradosso, ma la cosa (ad un milanese come me) riecheggia certe dichiarazioni dell'ex sindaco De Corato che, gonfiando fascistamente il petto, giustificava ai giornalisti i suoi sgomberi infiniti spiegando come alcuni sondaggi mostrassero che la città di Milano fosse una delle mete di arrivo preferite per i Rom stranieri.

Non che mi sia mai fidato di De Corato, ma qualche domanda su quanto sia complesso interpretare le realtà locali me la pongo.

Il Veneto, il nord-est in genere, come sistema economico, quante volte se n'è sentito parlare in questi anni. Il Veneto dove un'immigrata di seconda generazione si è talmente integrata da assumerne la mentalità, con tutti i lati positivi e negativi. Ma quest'area, dove a vari livelli convivono e producono genti così diverse, è stata anche tra le prime, oltre 15 anni fa, a delocalizzare la produzione all'estero. Erano già allora i primi segnali di un modello che andava ripensato, e che nonostante la sua pretesa autonomia ed autosufficienza, non era in grado di reggere all'innovazione della globalizzazione.

La crisi oggi colpisce duro anche lì, scrive il Giornale di Vicenza:

    La paura - o la constatazione - di non farcela: quel bazar chiuderà a marzo. E i negozianti del quartiere che testimoniano: «Da un po´ di tempo i nomadi passano con maggior frequenza - racconta Mauro Oliviero, fruttivendolo in contrà XX settembre - Prima passavano solo il giovedì, giorno di mercato; sarà la crisi?».
    Forse è la crisi. Vedere mamme e bambini nomadi sui marciapiedi del centro a chiedere l´elemosina ormai è una costante. Non lo fanno solo loro. E non è una novità assoluta. La crisi, comunque sia, condiziona il clima.

La prima vittima è proprio la solidarietà che quel modello non è stato in grado di far attecchire. La seconda, purtroppo, è la commessa di Vicenza, quella seconda generazione che ha potuto per ultima approfittare della ricchezza veneta, e come i suoi coetanei italiani avrà un futuro incerto di fronte a sé.

Tocca ancora al Giornale di Vicenza fornire una sintesi con le parole della commessa stessa.

A questo punto, torniamo un attimo al razzismo o meglio, ALLE COSE DA FARE. Il cartello è sparito dalla vetrina, l'UNAR ha aperto una propria inchiesta. Potrebbe sembrare un lieto fine, ma ho i miei dubbi, perché:

  1. la commessa non ha cambiato opinione, si è limitata a cambiare atteggiamento;
  2. l'UNAR sta facendo cose notevoli, ma quante delle inchieste che apre periodicamente portano ad un costrutto? Corre il rischio, di fronte agli innumerevoli argomenti da affrontare ed alle pressioni politiche a cui è sottoposto, di trasformarsi nell'ennesimo carrozzone parolaio italiano, più funzionale ai tecnici che vi sono parcheggiati che nell'affrontare e risolvere i problemi.

Premesso che non conosco la realtà del Veneto così bene dal poter dare consigli, ho tentato di spiegare quali sono per me alcuni punti nodali da affrontare, di una versione molto più complessa di come si presenta apparentemente.

Ci sono problemi generali, dove razzismo, zingari, immigrati sono alcuni degli elementi. E ci sono poi situazioni particolari, dove le varie aree del paese hanno specificità, storie, risorse diverse.

E' possibile INTERVENIRE ADESSO, oppure aspettare la prossima notizia simile. Ma soprattutto, occorre coniugare le sacrosante battaglie per i principi universali, all'individuazione di soluzioni PRATICHE più localizzate, che mettano in moto soggetti e competenze che già esistono.

In parole povere, vedrei la necessità di istituire in tutte le città medio-grandi (ma anche nelle piccole, se ci sono necessità e competenze), di un TAVOLO-CONSULTA locale (chiamatelo come volete), dove affrontare questi argomenti, assemblea che veda la partecipazione di soggetti tra loro diversi, ma comunque coinvolti: associazioni di immigrati, organizzazioni di Rom e Sinti, assieme ad amministratori, sindacati dei lavoratori e di categoria, associazioni imprenditoriali, cooperative... (l'elenco può anche continuare, ma fermiamoci prima di riscrivere le Pagine Gialle!).

Lo scopo è di agire sulle tante leve che rimandino ad azioni condivise, sostenibili e che facciano uscire dal ghetto, dove Rom e Sinti rischiano di venire rinchiusi, nel parlare del solo razzismo, senza affrontarne le cause. Creando nel contempo quella conoscenza e quell'azione comune indispensabili per ottenere (ed offrire) solidarietà.

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